Montaudio è un essere bicefalo. Come in ogni essere bicefalo che si rispetti le sue due teste ragionano separatamente, a velocità diverse, selezionando impressioni diverse. Parlano addirittura lingue diverse. A volte però i loro pensieri convergono, i punti di vista si accomunano, da due sembrano diventare una. Eh si, perché bisogna remare nella stessa direzione quando si va a 10mila chilometri da casa. Va bene che il mondo è cambiato, che le distanze si sono ridotte e che viviamo nel villaggio globale. Però nel sud-est asiatico senza un minimo di organizzazione e di idee chiare, e soprattutto senza armonia tra yin e yang, non si va lontani.
Uno dei primi momenti (anche se non il primo) in cui è servita armonia tra le due teste è stato di fronte a un problema molto concreto e in apparenza semplicissimo: dovere attreversare la strada. Non so se siete mai stati in Vietnam o in un paese simile dal punto di vista del traffico. Io non c'ero mai stato. Al massimo mi ero trovato alle prese con l'ora di punta nel centro di Roma: il caos motorizzato più grande che avessi mai visto. Roma ha mantenuto la leadership fino all'arrivo ad Hanoi, capitale della Repubblica Socialista del Vietnam.
Man mano che ci avvicinavamo alla cittá provenienti dall'aeroporto, vedevamo aumentare di chilometro in chilometro il numero delle auto, delle bici e soprattutto delle moto di ogni colore, età e cilindrata lungo la scalcinata autostrada. Il nostro autista trasformava la traiettoria della sua vettura da linea retta a qualcosa di sempre più simile a uno zig-zag. Solo delle mani sapienti potevano maneggiare il volante in maniera da far svoltare la macchina all'improvviso per evitare centinaia di schegge impazzite che sembravano gettarglisi addosso. Entrati nella periferia di Hanoi non si trattava più di schegge, ma di un flusso continuo di formiche impazzite. Le strade erano sì divise in corsie, ma nessuno sembrava curarsene: tutti invadevano lo spazio di tutti. C'erano stop, dare la precedenza, semafori, strisce pedonali e persino qualche rotatoria: non erano altro che addobbi con l'unico scopo di interrompere la monotonia dell'asfalto. Potrei descrivere questo marasma con due parole: anarchia stradale.
Ma il traffico non è solo imponente in quantitá e qualitá: è devestante anche in quanto a decibel. Ognuno dei milioni di motoristi, delle decine di camionisti e conduttori d'automobile si sente in dovere di suonare il clacson ogni 2 o 3 secondi. Se si esce da un passo, se ci si immette in una rotatoria, se si passa uno stop o un semaforo, non ci si preoccupa di guardare se sta arrivando qualcuno,di fermarsi, di guardare se è verde o rosso. L'unica cosa che si fa è suonare all'impazzata, affinché tutto il resto del formicaio impazzito si renda conto che stai arrivando, che ci sei.
Il centro della città è un vortice senza fine. Le strade sono come fiumi in piena. Non capivamo come la nostra auto non venisse risucchiata dalla corrente. Invece di cominciare a girare su sé stessa ed essere sbattutta di qua e di là dalle enormi mareggiate fatte di motorini, il nostro sapiente autista riusciva a trovare dei minuscoli spiragli, dei passaggi segreti in mezzo al caos, che solo lui poteva vedere. A tratti si faceva largo con astuzia, altre volte i varchi se li apriva lui di potenza e a sonori colpi di clacson. Dopo 1 ora circa di viaggio nella tempesta arrivavamo all'hotel, il piccolo ma confortevolissimo, nuovissimo e pulitissimo "Sans Souci IV".
Dopo una doccia veloce, cominciava la nostra avventura ad Hanoi. Ora io e la mia testa complementare dovevamo avventurarci a piedi nella bolgia dantesca. La zona dell'hotel era fatta di viuzze stretta. Cercavamo di camminare sui marciapiedi ma era impossibile. Lo spazio era quasi del tutto occupato da tavolini e piccoli sgabelli davanti all'entrata di ogni casa, venditori ambulanti di cibo di dubbia qualità, motorini parcheggiati ovunque, altari pieni di offerte alimentari per i familiari defunti. La gente in Vietnam vive in strada. Dentro casa fa troppo caldo e allora si esce fuori a mangiare, parlare, dormire, lavare i piatti, cucinare, spesso anche pisiciare e cacare. E tutto ciò lo si fa sui marciapiedi. Il pedone deve allora arrangiarsi a camminare sulla strada, il più vicino possibile al marciapiede. Anche noi eravamo diventati parte del flusso magmatico del traffico di Hanoi.
Ma il primo scoglio, la prova del fuoco del turista neofita è attraversare la prima grande strada. All'inizio sembra impossibile. Ci dicevamo quasi urlando, per superare il muro di suono dei motori e dei clacson, "non ce la faremo mai!". Osservavamo attoniti il fiume umano e meccanico che scorreva di fronte a noi. Non avevamo il coraggio di metterci dentro neanche un piede. Molti passanti ci guardavano divertiti. Altri ci offrivano souvenirs e conduttori di xe om ci facevano segno di salire. Per qualche strana ragione, in uno dei momenti in cui le due teste di Montaudio, l'essere bicefalo, ragionano all'unisono e prendono la stessa decisione senza bisogno di dire una parola, all'improvviso ci siamo gettati nella corrente decisi a guadare il fiume. E le acque si sono biblicamente aperte. Tutti i motoristi impaziti ci evitavano con manovre delicate, senza per questo doversi fermare. E suonando sempre e comunque il clacson.
Come ci avrebbe poi raccontato il ragazzo alla reception dell'hotel di Saigon, non c'è ragione di avere paura di attraversare la strada in Vietnam. Una famiglia di turisti canadesi era rimasta paralizzata come noi sull'orlo del marciapiede. Non potevano muoversi neanche di un passo. Il ragazzo, Anh, disse loro di stare tranquilli: arrivare dall'altra parte sarebbe stata la cosa più facile del mondo. "Guardate me": chiuse gli occhi e come una pietra gettata in acqua e destinata senza dubbio ad arrivare al fondo, si incamminó con passo sicuro fino al lato opposto. Agli increduli turisti, con saggezza orientale, disse poi: ecco, vedete, è facile: se vuoi arrivare dall'altra parte comunque ci arrivi, non importa quello che ti trovi nel mezzo.
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