sábado, 10 de septiembre de 2011

Storia di uno zaino (Terza Parte)

La voce di chi mi aveva raccolto era stridula, acuta. Il suo passo lento, simile a quello di una lumaca in confronto a quello del mio proprietario che camminava svelto. Come poteva essere successo? Mi chiedevo come fosse possibile che uno sconosciuto mi stesse portando via. Mi aveva rubato? Poco probabile, visto che la cosa più preziosa che avevo dentro era una valigetta di farmaci antidiarrea. Si era sbagliato? In quel caso doveva esserci uno zaino simile a me girando tristemente solo sul nastro trasportatore. E i miei veri padroni che cosa stavano facendo? Perché non intervenivano?
In quei confusi momenti sapevo solo che ci stavamo lentamente dirigendo verso la stazione dei treni dell'aeroporto di Milano Malpensa. Senza che nessuno fosse venuto a reclamarmi cominciai a intravedere da sopra la spalla del mio stridulo rapitore il treno che ci aspettava fermo al binario. Mi dicevo che tutto si sarebbe risolto, che all'improvviso l'essere bicefalo sarebbe ricomparso e mi avrebbe recuperato. Nulla di tutto questo. L'uomo dalla voce di gallinaccio mi appoggió sul portabagagli del treno e ce ne andammo.
Se la rideva coi suoi compagni di viaggio: era appena cominciata la loro vacanza nel nord Italia, in campeggio nelle valli alpine. Avevano già cominciato a bere da grandi bottiglie su cui potevo scorgere c'era scritto "birra". Erano in quattro, tutti dall'apparenza piuttosto giovane. I loro discorsi erano sostanzialmente stupidi. Mi sentivo perduto. Niente avrebbe potuto riportarmi indietro. E i miei padroni poi... Già perennemente preoccupati quando non c'erano problemi, figurariamoxciIl viaggio che avevo sognato in quel lontano paese chiamato Vietnam era ormai solo un sogno opaco. Passai tutta la giornata e la notte in una camerata d'ostello che odorava di piedi sudati. Il gallinaccio non mi aveva neanche aperto. Non si era cambiato neppure i calzini. Ero ormai sicuro che si era trattato di un errore. Avevo a che fare con un distratto imbranato che non aveva nessuna intenzione di lavarsi. Ci avrebbe messo secoli ad accorgersi dell'errore. Ero condannato ad attendere il mio destino in quella camerata puzzolente.
Prima di andare a letto finalmente il gallinaccio mi aprì per cercare il pigiama. Mentre mi apriva si lamentava gritando coi suoi compagni di viaggio "Ma dove sta il lucchetto che avevo messo?!". Ancora il sospetto che non fossi il suo zaino non gli passava nenche per l'anticamera del cervello. Intervenne allora uno dei suoi amici, chiamato se non ricordo male Juan: "Sei un coglione! ahahahaha... Come al solito ti sei perso qualcosa". Il gallinaccio intanto stava abbassando la lampo che avrebbe dischiuso il mio contenuto. Quando finalmente alzó la tela il suo volto si contorse in una smorfia strana, qualcosa a metà tra incredulità e divertimento. E si, perchè allo stronzo in fondo l'avere appena scoperto di essersi portato via il bagaglio di un altro lo stava divertendo. Devo aggiungere che dall'alito e dall'atteggiamento dei quattro compari non avevo alcun dubbio che durante la serata avessero bevuto parecchio di quello che gli umani, come seppi poi, chiamano alcol. Ammetto che gli insulti e i lazzi contro il protagonista dello scambio da parte dei suoi amici fu piuttosto esilarante. Anche io, triste com'ero, pieno di nostalgia e di pena per i miei padroni lontani (che chissà quanto arrabbiati erano per aver perso metà dei loro indumenti) non potei trattenere un sorriso.

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