jueves, 1 de septiembre de 2011

Storia di uno zaino (Prima Parte)

Sono nato in Cina circa un anno fa, ma non si sa per quale ragione ho un nome da indigeno delle Ande: Quechua. Il mio destino era già scritto: me ne sarei andato di casa appena nato, ammassato in mezzo a tanti miei simili nell'oscurità di un container. Sarei partito per un lunghissimo viaggio che mi avrebbe portato in un mondo sconosciuto.
Mi avevano fatto di grandezza media, alcuni dei miei compagni di viaggio più grandi avrebbero potuto contenermi. Sono scuro, quasi nero, e la sporcizia che mi si attaccava addosso durante il viaggio non si vedeva troppo. Sopra mi avevano adagiato i compagni più piccoli, alcuni dei quali avevo sentito dire che avrebbero portato dentro di sé qualcosa chiamato "libri".
Sbarcammo una fredda mattina d'inverno e l'unico suono erano le stridule grida di grossi volatili bianchi che si aggiravano per il porto. Ci divisero in gruppi, e ogni gruppo fu portato in uno dei negozi della catena "Decathlon". Ricordo il nome perché mi misero un'etichetta blu addosso appena entrai. A me era toccato un negozio vicino al porto e dallo scaffale dove mi avevano appoggiato intravedevo il mare. Qualche mese passò prima che se ne andassero un paio di esemplari identici a me che mi stavano sopra e mi coprivano, e diventassi alla portata di tutti.
Un giorno passò di lì una coppia, o forse era un essere bicefalo, non l'ho ancora capito bene. Le loro idee non erano chiare: si aggiravano indecisi per il negozio, non sapevano dove volevano andare, che viaggio volessero fare: quindi non sapevano quale zaino gli servisse. Erano due teste (forse dello stesso corpo) che parlavano e parlavano: dove andremo? come faremo? andrá tutto bene? Si erano fermati davanti a me, mi guardavano fisso. Un ragazzo vestito con uno strano giubbetto grigio senza maniche arrivò e cominciò a spiegargli alcune delle mie caratteristiche, di cui io non sapevo quasi nulla. È una sensazione curiosa quando qualcuno sa molto più di te su come sei fatto.
Non c'era verso che si decidessero ed io ero già sicuro che non mi avrebbero mai portato via. Ma alla fine a sorpresa si decisero... Solo che invece di prendermi scelsero l'esemplare identico a me che mi stava sotto! Cominciai a imprecare. Magari la vita nel negozio con vista mare non era così male. Ma io volevo cominciare a fare ciò per cui sapevo di essere nato. Volevo viaggiare sulle spalle del mio propietario, portando dentro di me tutto ciò che di più intimo avrebbe avuto: calzini, mutande, forse persino soldi e documenti. Però avevano preso quel mio simile che stava sotto di me. Perché? Questo bisogna chiederlo alla parte femminile dell'essere bicefalo, o della coppia. Una delle poche cose che ho capito delle persone è che le femmine sono sempre più prudenti dei maschi. Mi pare che quella testa di donna avesse pensato che potessi essere danneggiato: dal momento che ero sopra a tutti gli altri tutti i potenziali compratori avevano potuto toccarmi e quindi in qualche modo rovinarmi. Imprecavo e imprecavo, convinto di dover passare il resto della mia vita su quello scaffale. La fortuna però volle che chi era davvero danneggiato era quel mio compagno d'avventura, a cui mancava un pezzo importante: una fibbia di plastica indispensabile per chiuderlo. Il commesso tornò, rimise a posto il mio confratello e tornò dalla coppia indecisa (o essere bicefalo) con me in mano.
FINE PRIMA PARTE

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